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Nella camera chiusa, in quelle giornate di agosto, si soffocava; al mattino vi ronzavano pesantemente le mosche, attirate dalla zuccheriera scoperta sul comodino, dal bicchiere di aranciata, dallo sciroppo di codeina che stillava dal collo di una bottiglina e dall’odor grave di malattia che era nell’aria. Esse si posavano sul volto bruno dell’ammalata, dai pomelli arrossati, mentre ella dormiva, gittata in quei torpori profondi che sono il preludio della morte: il figliuolo invano le scacciava con un ventaglio, esse ritornavano a posarsi su quelle labbra semiaperte da cui sfuggiva breve, rôco, rantoloso, il re-