brillante cornice d’argento che circondava la testina dai nerissimi, lucidi e fini capelli, che ne delineava il profilo sottile mostrando lo sguardo un po’ levato, dolcemente, maliziosamente e l’angolo di un sorrisino delicato, sulla delicata bocca. La fotografia non portava nome di dedica: ma ella vi aveva scritto il suo nome e la parola sempre. Lei, sempre, sì, sempre e sopratutto, ma specialmente qui, sull’ampio divano dove erano ancora ammucchiati i cuscini, come essa li aveva lasciati l’ultima volta: e uno portava la forma della sua testa, ancora, ancora! Ah egli non resistette a quella impronta del raso, dove la testina si era posata, egli si trascinò là innanzi e vi cadde in ginocchio e baciò lievemente quella impressione concava, temendo che un troppo rude bacio la distruggesse. Un singhiozzo di amore, di gioia e anche di sommo dolore gli sollevava e gli spezzava il petto. Qui, era la casa, era il nido, era il santuario, dove egli aveva vissuto il tempo più inebbriante della sua vita: qui, egli aveva raggiunto quel supremo limite dell’umana