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Julian Sorel | 195 |
cane avrebbe latrato vedendolo cadere nel fiume, ma il cane si sarebbe forse buttato nel fiume per salvarlo, ma il cane non voleva che egli morisse, ecco l’idea terribile sorta nello sconvolto cervello di Julian Sorel. Ed allora, quasi che quello sconosciuto animale fosse un uomo, quasi che egli potesse intendere, tutto, Julian Sorel, nella via deserta e fangosa, sotto i grandi alberi neri e nudi, innanzi a vasto e giallo fiume, gli gridò, desolatamente:
— Io debbo morire, io debbo morire, ho duecentosettantamila lire di debiti e non posso pagare, debbo morire, lasciami morire....
La povera bestia, sordida e laida, guardava Julian Sorel, cogli occhi spiranti pietà, come velati dalle lacrime: non una voce, non un passo per la campagna ampia e fumante umidità dal fango dei campi: non una voce, non una barca, sul largo fiume dai gorghi esiziali: soli, quell’uomo e quel cane. Quello sguardo! Non diceva forse, a Julian Sorel, quell’umile sguardo d’animale che la morte non salva dal dis-