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176 Un suicidio


tanta freddezza disinvolta, si era avviato innanzi con tanta indifferenza, senza guardare neppure se Julian Sorel lo seguisse, che costui fremette di dolore, cogliendo subito con la sua sensibilità malata quella sfumatura di disprezzo, in quel servo. Julian Sorel aveva attraversato una grande anticamera e due salotti, ammobiliati col lusso più autentico, più austero, e più artistico e si era fermato nel hall, nel salone-serra, tutto coperto a cristalli e velato da sottili ma impenetrabili tende di garza orientale, tutto pieno delle piante più rare e dei mobili più ricchi e più bizzarri, distese sul pavimento le più morbide pelli e sorgenti da ogni vaso di rara porcellana di Delft o di Cina i fiori più esotici. L’aria vi era riscaldata, tiepida: e un assai strano e inebriante profumo era in quell’aria. Seduto in una poltrona di bambù, con i gomiti appuntati sulle ginocchia e il mento appoggiato alle mani, egli si abbandonava, direi, a tutto il suo accasciamento, senza levare il capo, senz’udire neppure il lievissimo passo di Gwendaline Harris; e la bionda