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196 | aspettando |
come un pazzo, come un bambino. Poi la via maestra faceva, un gomito; tornai indietro, alla stazione. Presi una tazza di caffè, poi un wermouth nel piccolo caffè, parlai col padrone. Era l’alba, ma grigia. Forse il sole non sarebbe uscito, forse ella non sarebbe venuta. Anzi era certo che non veniva. Aspettavo per scrupolo di coscienza, quasi per dovere. Avrei potuto andarmene perchè non veniva. D’un tratto un debole fischio, un suono di campanella, mi precipito fuori, in tempo per vedere un treno nero, bagnato d’umidità. Il sangue mi va al cuore, ma oso domandare:
— È il diretto?
— No, è un merci. Ci vogliono tre quarti d’ora pel diretto.
— È segnalato alcun ritardo?
— No, per ora.
Lei non verrà. Me ne vado nel giardinetto della stazione dove crescono le rose delle quattro stagioni ed i gelsomini cremisi in ritardo. Una lucertola mi guarda con i suoi