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118 cuore di porcellana


Belle le mani, sottili e fredde. Portava spesso un vestito blu cupo, con una grande cravatta di merletto bianco che serviva ad ingrandirle un po' il busto, che era meschino. Aveva anche un abito di lana bianca per i ballonzoli della sera ed uno di seta nera per la Messa della mattina. Anzi, era troppo lusso per la figlia di un impiegato, ragazza povera e senza dote. Era buona come tutte le fanciulle quando non hanno ragione di essere cattive; parlava con molta soavità e alzava gli occhi al cielo con una certa grazia. In fondo, era alquanto stupida. Si occupava vivamente, con un'assiduità disperante, di un suo eterno lavoro, a stelline di frivolità, lavoro leggiero, bellino ed inutile. Portava in tasca, in una scatoletta, il gomitolo del refe e la spoletta di avorio: appena arrivata in un sito, la cavava di tasca e ricominciava i suoi giri rapidi, i suoi nodellini brevi, tutt'assorta in quella frivolità. Ne voleva fare tutto un corredo, tutta una casa, all'ardore con cui lavorava.