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IV.

Caterina Lieti entrò, piccina piccina nella sua pelliccia, col visetto rosato sotto il berretto di lontra, le mani finemente inguantate di nero.

— Andiamo, dunque, Lucia! È già tardi.

— No, cara: dai miei poveri non si va che alle quattro. Sono appena le due.

— Andiamo altrove.

— ... Dove?

— In un posto dove ci divertiremo.

— Io non vengo, io non ho voglia di divertirmi, io ho voglia di piangere.

— E perchè?

— Non so... mi sento infelice.

— O povera, povera! Senti, sarà meglio che tu venga, cercherai di distrarti, forse ti distrarrai. A star sempre chiusa in questa stanza, in questa penombra, con quest’aria profumata, ti farà male alla salute.

— La mia salute è distrutta, Caterina — disse l’altra con accento di sconforto. — Ogni giorno dimagro di più.

— Perchè non mangi, cara. Tu devi mangiare. Anche Andrea lo dice.

— Che dice Andrea? — chiese Lucia, con la sua smorfia di noncuranza che dispiaceva tanto a Caterina.