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84 | fantasia |
seminascosta dai capelli pioventi e arruffati, la profondità dello sguardo tutto pregno di tristezza, la tinta di bistro che sottolineava gli occhi, la linea inclinata del profilo, l’angolo del sorriso amaro che assottigliava lei labbra. Un sospiro di soddisfazione le sollevava il petto. Nella sua mesta apparenza poteva destare interesse. Amore, no. Essa non ne voleva, amore. Per che farne? Non le era dato amare.
Poi ripuliva le boccettine della tavoletta. Dentro vi stavano le medicine fantastiche che una scienza quasi romantica ha dato per rimedio alla falsa nevrosi moderna. In una bottiglina il cloralio per l’insonnia, il cloralio che procura un sonno pieno di penose e deliziose allucinazioni, in cui la fantasia si ammorba, si esalta, si arroventa per poi cadere esaurita. In un’altra la digitalina per calmare le palpitazioni frequenti del cuore. In una, smerigliata, dal tappo d’oro, i sali inglesi per ricondurre gli spiriti smarriti. E in una, finalmente, un’acqua bianca, limpida: morfina in gocce. Il sonno..... il sonno..... fantasticava Lucia, passando in rassegna la sua piccola farmacia.
Dopo lo specchio dava un colpo di mano al secondo armadio, quello della biancheria, spazzolava le tre sedie. Poi, sulla porta della camera, finita la pulizia, dato uno sguardo intorno, le pareva che la sua cella, come la chiamava, avesse assunto quell’apparenza nitida, glaciale, che ella le voleva dare. La fantasia si appagava; parlava tra sé, alla sua camera: sii tranquilla, sii calma, dormi inerta e disanimata sino a questa sera, in cui la travagliata anima mia verrà ad empirti di angoscia.