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parte seconda 83

pettiniera, ovale, coperto da un velo bianco, poiché di sera è cattivo augurio guardare lo specchio scoperto. Ella aveva gittato in un angolo il grande fazzoletto, già sporco: ne aveva preso un altro e lo passava sulla lastra, lentamente. Stanca, sedeva innanzi allo specchio, appoggiava la testa a una mano e si mirava minutamente la fronte, gli occhi, le labbra, come se volesse scoprirvi qualche cosa. Ogni tanto prendeva dalla tavoletta la bottiglia del profumo di ambra gialla e la fiutava, rimirandosi sempre per vedere il pallore intenso e le lagrime che le faceva sgorgare quell’odore troppo acuto. Aveva nel cassetto anche una scatolina di rossetto, con lo zampino di lepre per spanderlo; ma non lo adoperava. Una mattina che si tinse una guancia sola, ne rimase disgustata. Preferiva il pallore, quel caldo pallore d’avorio, quella passione bianca, come la chiamava un poeta tanto stravagante quanto inedito. Sulla cornice dello specchio era inchiodata con uno spillo, ma libere le ali, una farfalla di cotillon, azzurro e argento, ricordo del primo ballo a cui l’aveva condotta, l’anno innanzi, suo padre. Ogni mattina con un soffio la faceva ondeggiare nelle sue ali leggiere, mentre il corpicciuolo restava fermo. Quella farfalla artificiale, immobile, che ella faceva muovere lievemente, la faceva fantasticare di certe vite posticce, piene di nobili aspirazioni, ma senza volontà, ma senza modo di levarsi in alto. Lucia diceva tra se: quando sono triste, sono io molto interessante o molto brutta? E innanzi allo specchio prendeva la sua grande aria malinconica, calcolava l’effetto di quella fronte bianca