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gnato, e si discioglieva in uno strascico leggero, morbido e fluttuante. Meravigliosa era una corazza di raso rosso così attillata da non fare una piega, scollata profondamente con un piccolo riccio di tulle bianco alla scollatura. Nude le braccia sino alle spalle. Un filo di perle intorno al collo nudo, che si ergeva libero, palpitante, dalla scollatura. Sui capelli bruni, stretti, sollevati dalla nuca, una corona di rose rosse, molto bassa sulla fronte. Era un’acconciatura tranquillamente sfacciata, con la splendida noncuranza di chi si sa bella, seducente e difesa contro i troppi ardenti desiderii: un’acconciatura come solo le fanciulle possono avere nella superba licenza della verginità.

Ella ascoltava il suo cavaliere, sorridendo appena, come la Erigone dalle labbra arcuate. Era un giovanotto magro e piccolo, con la faccia di un pallido bilioso, l’occhio tirato verso la tempia, e i capelli un po’ radi sulla fronte: corretto, elegante e meschino nella marsina.

— Eppure mi avevi promesso, Giovanna.... — brontolò lui.

— È inutile darmi del tu ad alta voce — osservò lei.

— Scusa.... scusatemi, mi tradisco sempre — mormorò. — È chiaro che tu mi abbandoni, Giovanna.

— Se è chiaro, perchè me lo domandate?

— Ma.... per essere smentito! Che t’ho fatto?

— Nulla: datemi del voi. Poi, ho fretta.

— Dunque è stato un sogno.

— Un sogno, un capriccio, una follìa chiamatela come volete. Voi dovete persuadervene: non possiamo