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parte seconda | 67 |
Tre o quattro volte, da che la festa era cominciata, il salotto, negl’intervalli fra due balli, si era empito di gente. Le signorine e le signore, entrando, gettavano piccoli gridi di gioia, prese da una tenerezza campagnola, incantate dalla luce mite, dalla freschezza, dal silenzio — pel contrasto con la luce dura e bianca, del salone da ballo, con l’atmosfera rossa, pesante, calda, con la musica stridula dell’orchestra. Esse prendevano delle pose languide e pensierose. Gli uomini si guardavano attorno con un’aria di soddisfazione contenuta, come se anche essi fossero sensibili alla bellezza della natura. Qualche bocciuolo staccato timidamente era offerto in dono. Una signorina vestita di giallo-pallido, con una pioggia di mughetti nei capelli bruni, diceva dei versi, a voce sommessa. Le signore più tranquille si facevano vento, soavemente, con quelli aleggianti ventagli di piume grigie. Ma appena giungeva quello sbuffante appello del waltzer, che sembrava uno strillo di richiamo, appena arrivavano le note morbidamente malinconiche della mazurka, tutta quella gente si buttava alla complicata follìa del ballo e le coppie fuggivano via. Il boschetto rimaneva vuoto e silenzioso, con le camelie rosse boccheggianti, come labbra avide di baci.
Mentre di là si ballava, Giovanna Casacalenda, la figliuola di casa, venne nel boschetto, a braccio di un giovanotto. Ella era più alta di lui, e pareva dominarlo nella regale magnificenza della sua bellezza. Era drappeggiata strettamente in un lunghissimo abito di crespo avorio che le si attaccava addosso come se fosse ba-