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parte seconda 59


— Lascia, lascia, che sono una bestia.... sono una bestia — insisteva lui.

Quando ebbe finito, la voltò, la rivoltò, come una bambola.

— Sei asciutta, ora, Ninì. Come odori di buono! L’hai nella cravatta l’odore o nella pelle? Vado a vestirmi. Tu va a vedere che fa il pasticcio di maccheroni.

Ella andò, ma ritornò subito, e stette a origliare presso la porta se egli la chiamasse. Egli, in camera, andava, veniva, sbuffava di soddisfazione, lanciava gli stivaloni fradici contro il muro, scalpitava come un cavallo, canticchiando; cercava la sua roba, dicendo sopra un motivo di canzonetta:

— Dove sono le calze.... le calze.... le calze....eccole. Ma mi manca la cintura, mi manca la cintura.... per reggere.... per reggere.... per reggere i calzoni. La cintura, eccola qua.... Ho io una cravatta?

Poi un silenzio.

— Non la trovi la cravatta, Andrea? Vengo io? — chiese lei timidamente.

— Ah! tu sei là! E la cravatta è qui.... Ho finito. Chiama Checchina che porti via questa roba bagnata, mentre noi pranziamo.

Uscì fuori, tutto rosso in volto per essersi strofinato troppo. Nel vestito di casa pareva più alto, più forte; la testa leonina dalla criniera riccia e fulva, dalla fronte depressa, dagli occhi azzurri, dai baffoni irsuti di un biondo fulvo, era piantata energicamente sopra un collo taurino, grosso, ma bianco. Portava un fazzoletto di seta bianca invece del colletto in cui affogava. Le