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56 | fantasia |
castani, un po’ ondulati, raccolti sulla nuca in una grossa treccia, sorretta da un pettine a fascia, di tartaruga bionda.
Portava un abito da casa, corto, di casimiro bianco avorio, appannato e morbido: molto serrata la vita, ricordo della civetteria collegiale. Al collo una grande cravatta di merletto quasi gialla, a fiocco ricco, ove il mento si seppelliva, sul quale il viso pigliava una finissima tinta rosea. Del merletto riccio ai polsi. Nessun gioiello. Solo all’anulare della mano diritta una fascetta semplice d’oro. Tutta la persona aveva insieme qualche cosa di semplice e di sereno, di nitidamente tranquillo e allegro.
— Ho da portare i lumi? — domandò Checchina la cameriera, entrando.
— Che ora è?
— Quasi le sei.
— Aspetta ancora un poco.
— E il signore che non viene!
— Verrà.
— Dio sa come sarà bagnato!
— Speriamo di no. È tutto pronto in camera?
— Tutto.
— Va pure.
Checchina uscì. Caterina non ricominciò a cucire: già non ci vedeva più e aveva detto di non portare ancora i lumi, per credere che fosse ancora presto. Ma il lampionario di Centurano, sotto l’ombrello, avvolto nel cappotto d’incerato, andava accendendo i pochi fanali a petrolio del paesello. Caterina si pose