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54 | fantasia |
di acqua piovana. La giornata triste, lunga, acquitrinosa, moriva lentamente in un crepuscolo di pioggia che sembrava già la sera. Nessun rumore. Gli ultimi villeggianti se ne stavano chiusi nelle case, sbadigliando, sonnecchiando, guardando dai vetri i giardini sfoltiti e immollati d’acqua, le rose d’ogni mese pendenti e come scapigliate, i piccoli pantani dove cascava fitta la pioggia, i pergolati di passiflore, qua e là devastati, mostranti il legno nudo, come le ossa di uno scheletro. Dietro una finestra si vedeva la faccia vecchia e scialba, la papalina di velluto rosso del giudice del tribunale di Santamaria, cav. Scardamaglia; dietro un’altra il naso troppo aquilino e le guance lunghe della signora Magalotti, la moglie dell’ingegnere pei lavori del palazzo reale. Sulla loggia coperta della loro villa, i bambini dell’avvocato Farini correvano e strillavano, con le mani bagnate, il nasino bagnato, le calzettine bagnate: sotto l’arco del balcone, Francesca, la balia, faceva la calza, senza sgridarli. Le grondaie mandavano acqua a sgorgo, le catinelle erano piene, i tini per il bucato famigliare traboccavano, le muraglie si macchiavano come di ruggine.
Dietro i cristalli del suo balcone Caterina guardava la fontana, da cui l’acqua riboccante cadeva sulla terra. Cercava di spingere lo sguardo lontano, sulla via di Caserta, ma non le riesciva vedere nulla, per la pioggia. Ritornava a guardare la fontana dell’angolo e a leggere i primi due versi della sciocca iscrizione:
Diemmi dell’acqua Giulia |