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trasognata, lasciando la sua mano in quella di Lucia: era calda, bruciante oramai la sua mano, a cui quella di Lucia aveva dato la febbre. Non chiedeva neppure più, a quella insolita ora, nella notte profonda, che strano rito fossero venute a compiere nella cappella, illuminata per loro solamente. Provava una inquietudine vaga, come un bisogno di sonno, un peso alla testa, per cui sarebbe stata felice di tornarsene al dormitorio, di riappoggiare il capo al cuscino per riaddormentarsi. Ma come quelli che sognano di voler fare una cosa e hanno una volontà sicura nel sogno, ma non la parola per esprimerla, ne la forza per attuarla, così ella sentiva, in quel dormiveglia, il torpore della propria volontà. Guardava attorno come stupefatta, non intendendo, non chiedendo di intendere. Ogni tanto un impercettibile sbadiglio le stirava la bocca.

Lucia congiunse le mani sul petto e fissò gli occhi sulla immagine della Madonna. Nessun suono usciva dalle sue labbra semiaperte. Caterina, che le era accanto, si chinava a osservarla: in quel morbido giro di pensiero che roteava, roteava come per addormentarsi, ella si chiedeva se questo che accadeva non fosse un sogno, se Lucia non fosse un fantasma. Caterina si passò una mano sulla fronte, quasi per ridestarsi, quasi per far scomparire quell’allucinazione.

— Ascolta, Caterina, e cerca di intendermi bene, meglio di quel che io sappia esprimere. Mi dai tutta la tua attenzione?

Si — disse l’altra, facendo uno sforzo.

— Tu lo sai, se qui dentro ci siamo volute bene.