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parte prima | 45 |
gliare tutta la notte nella nervosità del loro dispiacere, ma una stanchezza aveva fatto dileguare questo progetto. La loro fibra non resisteva più e il sonno si prendeva quelle anime travagliate, stanche di piangere. Qualche languido buonanotte si era inteso: poco a poco i respiri affannosi si erano fatti più regolari, più lievi: i sussulti si erano calmati. Un riposo avvolgeva tutto il dormitorio delle tricolori. Suonarono le ore al grande orologio, ma i sogni giovanili nulla sanno delle ore.
Quando scoccarono le due dopo la mezzanotte, Lucia Altimare aprì gli occhi. Non aveva dormito, aveva aspettato, divorando l’impazienza. Lentamente, senza far rumore, senza scendere di letto, prese i suoi panni dalla seggiola vicina e si vestì; infilò i piedi nudi nelle pantofole e scese dal letto. Camminava con infinite precauzioni, come un’ombra, guardando obliquamente i letti dove dormivano le compagne. Ogni tanto si voltava verso il fondo della sala dove Cherubina Friscia abbandonava sul cuscino il suo scialbo e floscio viso di beghina: era là il pericolo. Così, nella penombra fitta, Lucia Altimare, un fantasma bianco e alto, dagli occhi ardenti, arrivò sino al letto di Caterina Spaccapietra.
L’amica dormiva, quieta, composta, col respiro di una bambina. Le si chinò all’orecchio, con un soffio di voce:
— Caterina, Caterina.
Quella sbarrò gli occhi, atterrita, col grido affogato nella strozza dal cenno di silenzio di Lucia Altimare. Con la espressione meravigliata del viso, la interrogò.