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parte prima 43

pertanto ci riempie di sgomento. Ricordatevi di noi senza rancore....»

La leggitrice si abbandonò sul banco, esausta, piangendo dirottamente. La lettera le era caduta di mano. Cherubina Friscia si alzò, traversò flemmaticamente la classe, raccolse la lettera, la rimise nella busta, e la posò sulla scrivania del professore. Quasi tutte piangevano, afferrate da una disperazione infantile, desolate da tutti quei saluti, desolate da quei particolari di partenza, desolate di andarsene, spaventate del mondo dove entravano con un dolore, avendo paura, paura di tutto.

Artemisia Minichini, per fare la donna forte, si mordeva le labbra, batteva le palpebre, affaticavasi invano a frenare le lagrime; ma al rossore del viso si vedeva lo sforzo che faceva. Giulia Pezzali, una piccola, col capo arrovesciato sulle braccia, appoggiata al banco come un bambino, si lamentava pian piano, come se le avessero fatto male. Quella bellezza carnosa e bianca di Giovanna Casacalenda era tutta sconvolta: gli occhioni neri e meravigliati si appannavano di lagrime. Aridi, secchi gli occhi di Caterina Spaccapietra, ma ogni tanto un sospiro le sollevava il petto.

Il professore aveva trasalito al primo singhiozzo che aveva interrotto la lettera, tendendo l’orecchio come a un noto suono. Egli non piangeva. Ma in quel soffio pesante che abbassava quelle teste giovinette, in quello scoppio clamoroso di lagrime, egli sembrava, lassù, ancora più infelice degli altri giorni.

— Ascoltate — disse. — Non piangete....