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per la tua bocca, per le tue mani, il Signore mi ha salvata dall’estremo peccato, dall’ultima perdizione.

Cavò di tasca il rosario azzurro: baciò il piccolo crocifisso d’argento e la medaglia della Madonna.

— Che vuoi, Caterina? fu una follìa. Ma qui dentro — e si chinò a dire sottovoce — nessuno mi capisce, nessuno! Tu sei buona e intendi; ma se sapessi tutto! se potessi dirti tutto! Qui non possono intendermi. La direttrice, in quel giorno, fu fredda e crudele con me. Disse che io avevo scritte frasi indegne di una figlia di gentiluomo, che dimostravo di sapere cose che una fanciulla non deve sapere, che il professore, la maestra, le mie compagne erano scandalizzate, che era necessario a lei mandare quel compito a mio padre, con una lettera severa. Io tacqui, Caterina: che potevo dire? Ma soffrivo mille morti, mi sentivo dentro dilaniare il cuore. Tacqui, non piansi, non pregai. Ritornai in sala, agonizzando di dolore e di vergogna. Mi parlavi, non ti udivo. La morte passò come un: lampo attraverso l’anima mia, e l’anima mia se ne innamorò. Dio.... scomparve.

Tacque, stanca nella voce e nella persona. Caterina che l’ascoltava, presa dalla seduzione di quel linguaggio sentimentale, le disse:

— Fatti dunque coraggio, Lucia. Manca poco al settembre. Ce ne andremo di qui.

— Che importa questo? — disse l’altra alzando le spalle — muterò pena. Vedi tu, lassù sotto il colle del Vomero, un piccolo campanile? È la chiesa in cui sono stata battezzata. In quella piccola chiesa vi è una