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parte quinta 383

canzoncina. Ella preferì lasciare aperte le imposte. Ritornò al caminetto e vi abbruciò la lettera in cui Lucia le chiedeva pietà, annunciandole che partiva — e il biglietto d’amore ad Andrea trovato da Matteo. Mescolò le ceneri, come aveva fatto a Napoli: così non rimaneva più traccia di nulla. Tolse la pelliccia dal letto e la posò sul divano. Doveva fare più nulla? Sì: le chiavi. Le cavò di tasca e le pose sul piano del caminetto, bene in vista. Non doveva fare più altro.

Allora prese una sedia, la trasportò vicino al letto, la pose sotto l’immagine della Madonna, s’inginocchiò sul tappeto, appoggiando il corpo alla sedia, come al collegio. Lì, con la fronte fra le mani, senza guardare l’immagine, pregò. Le labbra si muovevano lentamente ma nessun sibilo usciva da esse. Non piangeva, non singhiozzava, non sospirava neppure. Non si capiva se ripetesse a mente le preghiere solite o se parlasse alla Vergine, dicendole quello che pensava. Era una preghiera muta, lunga, tranquilla: non un sussulto, non un trasalimento, non un brivido. Si segnò due volte, guardò un istante il quadro della Madonna, e si rialzò. Poi mise la sedia al suo posto.

Prese il giornale e lacerò una striscia che piegò a quattro doppi e che mise sotto la porta, otturandone perfettamente la fissura. Con un turaccioletto di carta tappò il buco della serratura, da cui aveva tolta la chiave. Lacerò un’altra striscia e andò a metterla sotto il balcone: otturò il bucherello, dove passava l’acqua piovana. Mise la testa alla chiusura del balcone per sentire se entrava aria: no, le imposte combaciavano