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parte quinta 375

aria composta di vecchio, la collana di barba ben disegnata dal barbiere, il suo sguardo obliquo dietro gli occhiali d’oro, e il moto stirato del labbro, la sua convulsione apoplettica. Marito e moglie non si parlavano, non si guardavano. Dietro, sul carrozzino alto ed elegante, dalle ruote coi raggi sottili, Roberto Gentile, nel suo pomposo costume di cavalleria, guidava, superbo, inarcando la gamba, sviluppando il torace. Egli guidava, seguendo la daumont, senza che Giovanna Casacalenda fingesse di accorgersene, mentre il commendatore Gabrielli serbava il suo contegno di marito posato e sicuro. Giovanna salutò sorridendo Caterina, il marito fece una scappellata. Era evidente che le amiche non sapevano ancora nulla.


Nel vagone di prima classe dove viaggiava questa piccola signora, sola, vestita di nero, chiusa nella pelliccia, con le mani finemente inguantate di capretto, non vi era che una coppia di viaggiatori tedeschi, marito e moglie, o fratello e sorella, o zio e nipote, o padre e figlia, da non potersi distinguere, tanto erano biondi di capelli, rossi in viso, rassomiglianti e senza età. Erano pieni di scialli, di coperte, di sacchetti, di Baedeker, e parlottavano continuamente, sogguardando ogni tanto la piccola signora che, seduta nell’angolo, guardava la campagna napoletana nel tramonto invernale. Quando si giunse a Caserta, la giovine donnina, traversò il vagone, chinando il capo a un saluto, e discese; i due viaggiatori dettero un sospiro di sollievo.