Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
366 | fantasia |
e lugubre di Alberto abbandonato, il disonore di suo padre e del suo nome, la rovina di Andrea che lasciava casa, moglie, patria, per vivere accanto a Lucia una vita disperata — e infine l’ultima vittima, la più innocente, Caterina, a cui Lucia aveva tolto quanto aveva.
Tutto questo era irreparabile. Orribili le agonie dei morenti che chiamavano Lucia ancora e l’amavano: orribile la vita dei superstiti che la odiavano, la maledicevano, e l’amavano. Irreparabile quello che finiva, irreparabile quello che durava. Lucia assurgeva, troneggiante, gloriosa, sfacciata, formidabile, gittando l’ombra del suo egoismo immane sulla terra, ombreggiando col suo immane egoismo il cielo.
· | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · | · |
L’alba spuntava bigia, livida, gelata. Caterina era ancora là, intirizzita sulla sua sedia, stringendo con le dita irrigidite l’anello nuziale restituito. Quando, alla luce scialba, vide il letto bianco, teso e freddo, ebbe un grido di terrore, un grido straziante, che non pareva umano. Si buttò a braccia aperte dove Andrea dormiva sempre — e pianse su quella tomba.
V.
— Sarebbe meglio se vi metteste a letto, signora — disse pietosamente Giulietta — non vi siete neppure spogliata.