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parte quinta | 365 |
trasti, stuzzicare i propri nervi col tormento altrui, creare il dramma per progetto, artificiale per sé, reale e terribile per gli altri. Così Lucia.
Questo mostro sorridente e piangente, dalle lagrime commoventi, dalla voce incantatrice, dalle flessuosità innamoranti, dalla poesia ammaliatrice della parola; questo egoismo profondo e femminile, aveva preso per sé tutto quanto aveva d’attorno. Caterina l’aveva compatita e amata, Galimberti l’aveva amata e compatita, Alberto l’aveva amata, Andrea l’aveva amata. Ella si era posta in mezzo a loro e ne aveva succhiato tutto l’amore. Al languore del suo volto, tutti avevano languito; ai suoi mistici abbattimenti, tutti avevano sofferto; alla sua passione posticcia, tutti s’erano bruciati profondamente nella carne. Il suo egoismo si era ingrassato di sacrifizi e di abnegazione: e con tutto questo, coloro che l’amavano, l’amavano sempre più. Chi aveva provato di avvicinarsi a lei, era stato attirato e assorbito. Coloro che essa prendeva, non li liberava più. Le anime s’incorporavano in lei, pensavano quello che essa voleva pensassero, fantasticavano le sue fantasie, sognavano i suoi sogni, trasalivano ai suoi sussulti. I corpi si attaccavano a lei, invincibilmente, senza scampo, ricevendo da lei la salute, da lei il morbo.
E per l’ingrandimento di questo egoismo altissimo, per la sua gloria, per il suo trionfo, per l’apoteosi di questo egoismo, Caterina vedeva l’infelicità di quanti avevano circondato Lucia: la sorte di Galimberti che moriva pazzo al manicomio, la miseria della madre e della sorella affamate e desolate, l’agonia disonorata