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recitava nelle commediole delle premiazioni, scriveva gli indirizzi di congratulazione per l’onomastico della direttrice. I compiti suoi facevano impressione: una volta se ne lesse uno, davanti a tre classi riunite. Ma quello che più spiccava, era il suo strano carattere, che destava la curiosità dell’intero collegio. I suoi accessi di misticismo, le sue malinconie profonde, i suoi pianti negli angoli oscuri del collegio, la sua passione pei fiori, le sue nausee all’ora del refettorio, le sue convulsioni nervose, tenevano sempre desta l’attenzione del collegio. Quando ella passava, alta, sottile, gli occhi pensosi e vaganti, le braccia prosciolte, le alunne si voltavano, se la indicavano, ne parlavano sottovoce.

La direttrice la sorvegliava, Cherubina Friscia aveva speciali istruzioni che riguardavano Lucia Altimare, i professori la tenevano d’occhio. Al parlatorio le altre fanciulle la indicavano, pian piano, alle loro madri come un tipo strano. Ella lo sapeva; e girava occhiate languide e aveva i movimenti belli e malinconici della testa. In verità, il suo carattere era la sofferenza: sofferenza lenta, continua, assidua, che l’abbatteva per settimane intiere e poi la gettava in certe crisi dolorose che facevano pietà. Oh, Caterina ne aveva sempre avuto una compassione profonda che non sapeva troppo manifestare, ma che non era per questo meno sincera, meno intensa.

Poi, l’ultimo anno era stato agitato; era una meraviglia se Caterina, in mezzo a quelle fanciulle, che fremevano di andarsene, che anelavano di vivere, che avevano già gli innamorati, i fidanzati, i mariti, gli