Pagina:Serao - Fantasia, Torino, Casanova, 1892.djvu/359


parte quinta 351

col medico, con le medicine, con lo sciroppo che non gli calmava la tosse, con la neve inefficace, che non stagnava l’emottisi. Poi, brontolando ancora, finì per dire a Caterina:

— Scusate, datemi quella cartellina di acido gallico e un’ostia.

Con la pazienza di chi è abituato a queste cose, egli si fece la pillola, la ingoiò, facendo un atto di rassegnazione. Ella aveva chiuso il giornale.

— Non lo leggete più? Ne avete abbastanza, è vero? Invece io l’ho letto tutto e lo rileggerò, per imparare come si commettano queste cose spaventose. Eppure io era incapace di fare una cosa simile a Lucia: mi pareva la più bella, la più cara fra le donne. Io n’era innamorato, via, diciamolo, innamorato come una bestia. Non doveva farmelo, quello che m’ha fatto. Sapeva che ero ammalato, doveva risparmiarmi. Sapeva che sono solo, non doveva abbandonarmi...

Egli considerava la stanza deserta, l’inginocchiatoio arrovesciato, il posto della Madonna vuoto, i cassetti del cassettone aperti, e di nuovo gli cadevano le lagrime lungo le gote. Erano lagrime scarse e rare, che gli arrossivano la pelle stirata.

— Che contate di fare, voi, signora Caterina?

Ella si riscosse, lo interrogò, meravigliata.

— Vi chiedevo, che cosa farete voi?

— Niente — pronunziò ella, gravemente.

La parola desolata si allargò nella stanza, e la fece parere immensa nella sua vacuità.

— Niente; è vero. Che s’ha a fare? Niente. Quelli