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parte quinta | 349 |
intiera col balcone aperto, con l’aria fredda che mi entrava nei polmoni, che me li ha infiammati, che me li ha fatti ammalare. Essi si guardavano, si chiamavano, si buttavano baci: io pigliava la tosse, che mi è durata due mesi e oggi mi ha fatto sputare rosso...
La guardò: ella si nascondeva la faccia fra le mani, inorridita.
— Voi non capite, è vero, come io so tutto questo? Ve lo ricordate quel romanzo che stava scrivendo Lucia, ogni notte? Un’altra falsità. Non era un romanzo: era il suo giornale. Ogni giorno vi scriveva tutto quello che le accadeva, con tanti pensieri, con tante fantasie. Tutto l’amore vi è per filo e per segno, ogni sguardo, ogni bacio, ogni fatto. Oh vi sono brani magnifici di descrizione, vi sono cose bellissime, narrate lì dentro. È una lettura istruttiva, e interessante. Voi ne profitterete, se volete. Leggete, leggete, che vi divertirete.
E allora, sogghignando come un Mefistofele scarno e tisico, cavò di sotto il cuscino un grosso manoscritto, coperto di carta azzurra. Lo gittò in grembo a Caterina; ella lo lasciò là, senza toccarlo, quasi temendo di scottarsi.
— Sì — disse lui, giunto al colmo dell’amarezza — Lucia ha voluto che io sapessi come andò il fatto. Ha preso la Madonna, ha preso i brillanti, ha preso le lettere di Andrea, ma s’è voluta benignamente scordare il giornale. Leggetevelo dunque. È un bel romanzo, un bel dramma.
Era esausto. Lo sforzo febbrile lo abbatteva ora in una sonnolenza, con gli occhi socchiusi, le mani ab-