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Ella se ne andò pian piano, dopo aver fatto un giro per la stanza. Caterina era rimasta ritta, stringendo al petto il suo scialle. — Ora capiva tutto quello che vedeva e che sentiva: anzi la sensazione diventava così acuta che ella soffriva al rumore delle parole, che la luce le acciecava gli occhi, che quell’ammalato le appariva in tutta l’anatomia di un corpo etico, dal profilo a lama di coltello, al mento saliente e magro, al petto scheletrito, alle gambe miserabili. Ella sentiva troppo, vedeva troppo, capiva troppo.

— Venite più vicino e sedetevi. Io non posso alzar la voce, nè voltarmi. Potrebbe prodursi una nuova emottisi.

Ella prese una sedia, sedette di contro il letto, in modo da veder Alberto in viso, incrociò le mani in grembo e aspettò. Egli inghiottì con difficoltà il pezzetto di neve, poi, con quanta desolazione può esservi in una voce rauca e bassa, le disse:

— Avete saputo, eh?

A lei batterono le palpebre due o tre volte, ma non trovò nulla da dirgli. Alberto con gli occhi socchiusi, il mento sollevato e il capo affondato nei cuscini, non la guardava, fissava vagamente la tendina bianca del letto.

— Non me lo sarei mai aspettato, un tradimento simile. Ve lo sareste aspettato voi? No, è vero?

Ella accennò di no. Assolutamente non trovava la forza di parlare: pareva che la sua volontà, inerte, non giungesse più sino ai nervi.

— Lucia pareva che mi volesse tanto bene! Era così buona, non pensava che a me. Voi lo vedevate, come