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Di quale signore parlava? Caterina guardava la cameriera, fisamente, senza batter palpebra.

— Il povero signore ha di nuovo fatto il sangue, verso le tre. Se ne è accorto questa volta: stasera, quando ha ricevuto la lettera della signora, si è fatto rosso, ha strillato, si è riscaldato, ha tossito, e ha buttato di nuovo il sangue, in salute vostra...

La signora, il sangue? Di che le parlavano?

— Ora vi accompagno di là, signorina. Ma fatevi capaci tutti e due: era una cosa che così doveva succedere.

A queste parole Caterina tremò tutta, da capo a piedi: uno sconvolgimento le attraversò il volto. Inchiodata al suo posto, guardava con gli occhi pieni di dolore la cameriera.

— E che ci volete fare, signora mia? Andiamo da quel povero signore.

La precedette: ella andò dietro, docilmente. Nel salotto di Lucia vi era un grande disordine. Arrovesciate le poltroncine; sfogliati, sparpagliati i quaderni di musica sul pianoforte; il cestello da lavoro capovolto, vuoto, rotolati i gomitoli, disperse le lane, giacente per terra, come un cencio, il grosso canevaccio che Lucia ricamava; il tavolinetto da scrivere con la cartella aperta, i cassetti vuotati, le lettere cadute sul tappeto: un campo di battaglia.

— È il signore che ha fatto questo. Pareva un pazzo — spiegò la cameriera.

Lasciarono a destra il salone, oscuro; entrarono nella camera. Una penombra vi regnava: vi era solo