Pagina:Serao - Fantasia, Torino, Casanova, 1892.djvu/340

332 fantasia

coi suoi occhi sereni. Egli si chinò e le dette un bacio, distratto, a caso. Poi si avviò, accompagnato da lei.

— A rivederci, Andrea.

— ... a rivederci.

Discese le scale: ella, dalla ringhiera del pianerottolo, gli domandò:

— Ritorni tardi?

— No. Addio, Caterina.


Lucia era rimasta a letto tardi. Nella notte, aveva detto ad Alberto, ella aveva avuto la febbre. Difatti le labbra erano aride e macchiate, gli occhi pesti, con una larga ombra di livido. Si era alzata alle undici, sfiaccolata, avvolgendosi in una veste da camera di raso nero, assistendo alla colazione di suo marito — due uova battute, nel caffè con latte, roba eccellente pel petto — reggendosi la testa con la mano. Ogni tanto, dei rossori le salivano alla faccia e ella respingeva i capelli indietro, sul collo, con un gesto vago di dolore.

— Che hai oggi? sei più triste del solito.

— Vorrei vederti bene, Alberto mio. Vorrei darti il sangue delle mie vene.

— E che? Sto tanto male, io?

— No, Alberto, no. È la stagione poco propizia per i petti delicati.

— O dunque? Ma capisco: tu sei tanto buona da allarmarti. Grazie, cara. Se non avessi te, a quest’ora sarei morto.

— Non dirlo, non dirlo.