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parte quinta | 325 |
dovessi amarti, che tu dovessi amarmi, paghiamo il debito al destino.
— Fatalità, fatalità! — e si torceva le braccia disperata.
— Fatalità! — ripetè Andrea amaramente. — Non dovevamo amarci prima. Ora non è più tempo, è troppo tardi, tu mi appartieni.
— O Caterina, o Alberto! — diceva ella, piangendo.
— È la fatalità, Lucia.
— Mio marito, la mia migliore amica! — e i singhiozzi le rompevano il petto.
— Te lo ripeto, hai il cuore troppo grande. Io amo te sola: me solo tu devi amare.
— Che strazio, Andrea!
— Non mi hai tu detto cento volte: portami via? Ecco che ti porto via.
— Porterai teco un cadavere, uno spettro pallido di rimorsi.
— Allora scegliamo l’inganno, l’amore che fanno tutti e che tu non vuoi fare.
— O mio Dio, che supplizio è questo? Io non me lo meritava.
D’improvviso si fece notte. Ella gettò un grido di spavento.
— Niente, è la grotta. Non temere di nulla. Io ti amo.
— Ma questo amore è una sciagura, è una tragedia.
— Non era questo che mi dicesti nel parco?
— Sì — disse ella, atterrata.
— Ebbene, Lucia, io passerò la mia vita a chiederti