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parte quinta | 323 |
— Ho paura, ho paura — e si avviticchiò a lui.
— Di che hai paura?
— Non lo so..... Ho paura di perdermi. Questa amore è una rovina, Andrea. Io lo conosco l’avvenire. — Vuoi tu che te lo dica? Vuoi che ti descriva i due destini che ci aspettano?
— Dillo, ma dammi le tue mani: dillo, ma sorridi.
— Noi abbiamo due vie. La prima è quella del dovere. Al finire di questa passeggiata, malinconica e cupa, sotto la pioggia, in questa carrozza che sembra un convoglio funebre, condotto da uno spettro di cocchiere, darsi un bacio gelido e dirsi addio. Rinunziare all’amore. Separarsi per tutto il tempo, non ritrovarsi mai. Riprendere, tu, presso Caterina, io, presso Alberto, quella vita arida e secca come la pomice, quell’esistenza volgare e borghese, che uccide l’anima. Quanto fu splendido sogno, quanto fu realtà seducente, dimenticare: ecco l’avvenire.
— No, non posso.
— Ce n’è un altro di avvenire. È il peccato ipocrita, è la colpa segreta, è l’adulterio pauroso e tremante, che si avvilisce, che inganna, che si bacia di nascosto, che dipende dai servi, dai portinai, dai postini, dalle cameriere, da tutti. È quello che abbiamo fatto sinora: è la odiosità, è la volgarità, è il modo di tradire come tutti tradiscono. Amare, come tutti gli altri amano! Rifare, quello che centomila hanno fatto! È indegno di una donna come me, è indegno di un uomo come te.
— Una volta mi dicesti che l’inganno è una pietà