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322 | fantasia |
— Oh sì: vedi, lassù, dietro quelle finestre chiuse, in un grande stanzone di osteria, mi son battuto.
— O amore mio, con chi?
— Con Cicillo Cantelmo, un amico.
— Per chi?
— ... per una femmina.
Un silenzio imbarazzante si fece.
— Come io non so nulla della tua vita, Andrea — riprese ella, con dolcezza, attaccandosi sempre più al suo braccio, avviticchiata a lui. — Io ti sono estranea.
— Il passato non è amore. Tutto quello che fu, è morto.
— O amore, io sono morta, io sono morta alla gioia.
— Lasciati portar via da me: sul mio cuore, rinascerai.
— Tu parli oggi come un poeta, Andrea, come un sognatore.
— Sei tu che mi hai insegnato questo linguaggio: io non lo conoscevo: io non avevo mai sognato. Lucia, vientene via con me.
— È tardi, è tardi — riprese lei. — Torniamo, in carrozza, torniamo a Napoli.
Tornarono in carrozza, rientrarono in quel piccol nido verde, separato dal mondo esterno. Erano ambedue tristi. Come presero la via di Fuorigrotta, Lucia trasalì, si rivolse ad Andrea:
— E l’avvenire?
— Non pensarvi: lascialo giungere.
— Tu sei sempre un fanciullo, Andrea.
— No: sono un uomo, lo vedrai. Vuoi tu affidarti?