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parte quinta | 317 |
la pioggia cresceva, la carrozza rotolava, senza rumore, sul selciato bagnato di S. Lucia.
— Il mio cuore è largo, Andrea.
— Tu devi amare me solo.
— Non posso. Io amo tua moglie e mio marito, non posso sacrificarli a te. Diciamoci addio.
— Non posso, Lucia. Io debbo amarti, sempre. Tu devi essere mia.
— Mai, mai, mai.
— Ma non hai tu paura di me? — le gridò lui, rosso in viso, furibondo. — Ma credi di potermi dire impunemente tutto questo? Non hai paura che io ti uccida? Non potrei farlo oggi stesso?
— Serviti pure — disse ella, tranquillamente.
— Perdonami, Lucia: sono uno sciocco e un selvaggio. Sei la mia vittima, lo comprendo. Ti rendo infelice e ti maltratto anche. Tutti i torti sono miei. Vuoi tu perdonarmi? Dimmi che mi perdoni.
— Ti perdono — e gli porse la mano, che egli baciò, umilmente, sulla pelle del guanto.
— Sentimi bene, Andrea — riprese ella: — dopo ti persuaderai che io ho ragione. Dolente, ma volenteroso, mi darai l’ultimo addio. Mi ascolti?
— Parla pure. Tu non mi convincerai, perchè ti amo.
— Ti convincerò, lo vedrai. In quello che accade, in questo dramma tumultuoso e tenebroso, io non ho colpa, tu lo sai. Io non cercavo l’amore, io non cercavo te. Avevo sposato Alberto, facendogli sacrifizio di tutta la mia vita, volentieri, con affetto. Ti avevo fuggito prima: ti ho ritrovato poi, due volte, sul mio