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parte quinta 311

detto Lucia, e come lui l’avrebbe dissuasa dal dirgli addio. L’avrebbe dissuasa, n’era certo: perchè, senza Lucia, egli sarebbe morto e non voleva morire. Mille progetti stravaganti gli si affollavano nella fantasia. Sognava d’inginocchiarsi davanti a lei, di dirle tranquillamente: Sono venuto qui per essere ucciso da te. — Avrebbe portato una rivoltella e gliel’avrebbe offerta. Ella non lo poteva uccidere se lo amava. Sognava di non rispondere nulla ai suoi ragionamenti, se non continuamente: Ti amo, ti voglio. — Sognava di tacere sempre, ma di baciarla, di baciarla, di baciarla, sino alla stanchezza mortale delle labbra. Quando l’alba livida di novembre sorse, trovò Andrea con gli occhi ardenti che guardavano ancora le inafferrabili allucinazioni della sua fantasia, con la bocca riarsa. Egli uscì alle sette, per le vie di Napoli, sotto una pioggerella minuta minuta, lasciandosi bagnare. Alle otto era già in carrozza, passeggiando su e giù per Toledo, con le tendine abbassate, lungo disteso, il cappello sugli occhi, facendo suonare ogni cinque minuti il suo cronometro.


La pesante portiera di pelle imbottita, col paramano di ferro chiodato, ricadde dietro la signora, vestita di lutto profondo, di lana nera. Poca gente nella chiesa di Santa Chiara: è una navata sola, tutta allegra di dorature, di larghi finestroni, di pitture fresche e vivaci: un salone, piuttosto che una chiesa. Lucia prese l’acqua benedetta, si segnò profondamente rivolta all’altare maggiore, poi s’inginocchiò davanti all’altare del-