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parte quarta 305


Finiva l’ottobre. Un giorno, a tavola, di domenica, Lucia annunziò tranquillamente che il prossimo martedì sarebbero partiti, malgrado il proverbio.

— Credevo che sareste rimasti con noi, sino a san Martino — disse dolcemente Caterina.

— Gli è che ad Alberto si è un po’ inacerbita la tosse, per l’umidità di questo ottobre piovoso. La nostra casa, in via Bisignano, è molto asciutta. Tutto è pronto.

— Del resto, mi sento meglio — soggiunse Alberto — mi sono ingrassato, credo. Ho dovuto mettere la cinghia dei calzoni più larga. Questa villeggiatura è stata la mia salute.

— Mi dispiace che Lucia non sia stata tanto bene — osservò Caterina.

— Che importa? — disse l’altra, con noncuranza — non vi date pensiero di me. Io sono una creatura disgraziata e malaticcia. Ma questo tempo, passato qui, a Centurano, è stata, Caterina mia, l’epoca più luminosa, più armoniosa della mia vita; è stato il punto più elevato della mia parabola: dopo di esso, non vi può essere che una rapida discesa verso l’eterno silenzio, l’eterna oscurità, l’eterna solitudine.

Andrea non aveva aperto bocca, ma la sera le scrisse un biglietto supplichevole, scongiurandola a voler restare qualche altro giorno. Non poteva pensare che ella se ne andasse. A Napoli non lo avrebbe amato più. Egli non voleva lasciarla andar via. Era la sua Lucia: perchè se ne andava? Se non restava, egli l’avrebbe seguita, subito. Pensasse.