a una convulsione nervosa, come ne soffriva da fanciulla; si contorceva tutta, le braccia fendevano l’aria, la testa balzava sul pavimento. Poco aiuto potevano dare Caterina e Alberto, ma Andrea le stringeva i polsi e li sentiva, come di ferro, irrigidirsi nelle sue mani: le battevano i denti come per tremore febbrile, l’orbita scompariva sotto le palpebre. Balbettava parole che non si comprendevano e ad Andrea, spaventato, pareva sempre di udirla prorompere in frasi che rivelassero il loro segreto. Poi, la convulsione sembrava si calmasse, le membra si rilasciavano, il petto si sollevava in forti sospiri: apriva gli occhi, guardava la gente attorno, ma li richiudeva subito, come inorridita, dava in un altissimo grido, e ricadeva convulsa, dibattendosi, non sentendo nè l’aceto, nè l’acqua di cui le inondavano il viso, nè gli odori, nulla. Alberto la chiamava, Caterina la chiamava: nulla. Quando poi la chiamava Andrea, tutto il viso le si scomponeva, la convulsione aumentava di ferocia: con la cravatta sciolta, l’abito lacerato sul petto, i capelli discinti, la gola nuda, i polsi lividi, ispirava terrore e amore. La convulsione durò tre ore: finì a gradi, lentamente. Rinvenendo ella pian a dirotto, strappandosi i capelli, come se le fosse morto qualcuno. La consolavano: ella diceva: no, no, no, e seguitava a disperarsi. Poi, stanca, sfinita, le ossa peste, spezzate le giunture, incapace di muoversi, si addormentò sul divano, avvolta uno scialle. Alberto stette fino alla mezzanotte: Caterina lo persuase ad andare a letto: gli uomini si ritirarono. Restò ella a vegliarla, seduta vicino al tavolino, tra-