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296 | fantasia |
Egli traversò la sala, le si accostò: ella gli posò una mano sulla spalla per farlo chinare e gli disse sottovoce:
— Andrea mio, ti amo.
Egli pensò un poco, poi le disse:
— Sentite la risposta. E nell’orecchio soffiò:
— Amore mio, strega mia, ti amo.
E se ne ritornò al suo posto. Poi Alberto volle sapere, assolutamente: se no, moriva di curiosità. Lucia, fingendo di cedere, confessò che aveva detto: — Alberto è curioso come una donna, tormentiamolo — e che Andrea aveva risposto: — Non lo tormentiamo, povero Alberto. — Si divertirono molto di questo incidente: ma i due amanti non ritentarono più la prova. Avevano altro: ora vi era l’offerta del braccio, in casa, sul terrazzo, per le scale, e le strette fuggevoli nei corridoi oscuri, gli sfioramenti di mano. Tante volte, per un istante, le due teste erano così vicine che allora allora pareva si baciassero. Quando Caterina non vi era e Alberto voltava le spalle, si scambiavano quelle occhiate così intense che pare facciano dolore. Quando passavano la sera nel salotto, Lucia che sceglieva la sua posizione con un’arte infinita, si metteva nell’ombra, dietro a suo marito, potendo guardare lungamente Andrea, senza che nessuno la osservasse.
Talvolta si apriva il ventaglio sugli occhi; guardava entro le stecche. Ogni tanto, quando Alberto era fuori e Caterina si curvava a cucire, gli occhioni di Lucia balenavano in volto ad Andrea: le palpebre si riabbas-