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— Portami via, portami via — gli mormorava ella, guardandolo di sotto in su, con gli occhi illanguiditi.

— Non guardarmi così, maga — disse Andrea, ruvidamente.

— Io ti amo.

— Ed io, ed io? come t’amo, non puoi capirlo.

— Lo so. Perchè non mi scrivi?

— Ti ho scritto venti volte, ho stracciato le lettere. O Lucia mia, come sei bella, come sei cara!

Oh, era cara, accanto a lui, stretta nell’abito come in una corazza, coi piedini incrociati le cui punte si baciavano, con l’aria appassionata del volto sotto la falda del cappello. Sembrava una bambina innamorata, dal mento roseo e dalle guance delicate che il venticello rinfrescava, dai capellucci neri che svolazzavano sulla fronte.

— Ora lascio le redini e ti abbraccio.

— No, no, ci guardano.

— E tu non essere così cara, e tu non mettermi fuoco nella testa.

Correva, correva il cavallino, inarcando il collo, quasi danzando: l’equipaggio veniva dietro, a sessanta passi.

— Mi sono dannato in questi giorni.

— Non dirlo: io ne morivo. Mi vuoi bene?

— Perchè me lo chiedi? lo sai, lo sai tanto, lo sai tutto.

— Non lo so, non lo so — disse Lucia, tutta carezzevole.

— Lucia, mi fai impazzire, se mi parli con quella