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286 fantasia


Lucia guardava, senza battere palpebra, questo sfogo violento di gioia.

— Poichè siete così galante oggi, Andrea — disse lei freddamente — offritemi il braccio per andare a colazione. È un’abitudine cortese che vi manca.

— Io sono uno zotico, signora Sanna. Volete accordarmi l’onore di accettare il mio braccio? — e s’inchinò profondamente.

Gli altri due ridevano, seguendoli, senza imitarli. Nel corridoio, nella penombra, Lucia si strinse tutta ad Andrea, con un fremito: egli le fece male, stringendole il braccio. Quando furono nella stanza da pranzo, erano composti e rigidi così, che Alberto si burlò di loro. Caterina era felice, poichè suo marito aveva ripreso il buon umore. A tavola il gomito di Lucia sfiorò tre o quattro volte la manica di Andrea: bevendo il vino, ella lo guardava attraverso il cristallo del bicchiere. Egli stava all’erta, sogguardando obliquamente Alberto e Caterina; ma nulla essi vedevano, di nulla avevano sospetto.

— Per ringraziarvi del braccio che non mi avete offerto — disse Lucia, con una glaciale audacia — io vi offro una pera mondata da me.

E gliela dette sulla punta del coltello; ma da una parte la strega ci aveva dato un morso, coi dentini bianchi e forti. Egli chiuse gli occhi, mangiandola.

— Com’è? — chiese lei, con importanza.

— Me ne dispiace per me, ma è pessima — rispose compunto, con una smorfia di rammarico.

Alberto credette morire dal ridere. Quella birbona