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rattino così legnoso nel suo soprabito già invernale dal bavero alzato, col cappello abbassato sugli occhi, che alla collera si univa il disdegno, e gittava il sigaro con violenza contro un tronco d’albero. Non vi era modo di farlo tacere più, Alberto. Egli aveva quella appassionata sfacciataggine degli innamorati, che narrerebbero al mondo come è tornita la spalla dell’amante loro, come il corpo sia più bianco del volto: un impudore sereno, per cui diceva ad Andrea che Lucia portava le giarrettiere di seta azzurra, ricamate a violette del pensiero, col motto: Honny soit qui mal y pense. E gli chiedeva, sorridendo:

— Che te ne pare eh? Non è grazioso?

La consolazione diveniva una tortura, il sollievo si cangiava in spasimo. Andrea si faceva tetro e grave.

IV.

Un giorno Lucia comparve in salotto con una faccia risoluta e quasi sfidatrice. Le sue nari frementi pareva odorassero l’odore della polvere e che tutto in lei fosse pronto per la battaglia. Tranquillamente, guardando altrove, mentre Andrea le porgeva una tazza di caffè, ella gli dette un bigliettino. Egli tremò tutto, ma non si smarrì. Col primo pretesto uscì di stanza, scese in cortile a leggere. Erano poche parole scritte col lapis, ardenti di amore, dove gli diceva che lo