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parte quarta | 283 |
l’aveva trovata con la febbre in letto, la testa avvolta in un fazzoletto di seta bianca che celava i capelli, imbacuccata come una monaca: un altro giorno ella gli aveva fatto il segno della croce sul petto, un gesto ascetico per preservarlo dal male. Un’altra volta ella gli aveva detto che sarebbe morta presto, che ne aveva il presentimento, e che aveva già fatto il testamento: voleva essere imbalsamata, perchè aveva paura dei vermi, avvolta prima in un lenzuolo di batista, poi in un grande pezzo di raso nero, profumato all’ambra, i capelli intrecciati con le perle, un crocifisso d’argento sul petto.
— Una cosa da piangere, Andrea mio — continuava Alberto — io non poteva farla tacere. Volle dirmi tutto, tutto. Finimmo col piangere ambedue, l’uno nelle braccia dell’altro, come se dovessimo morire lì per lì.
Ma come Alberto Sanna diventava troppo espansivo nelle sue confidenze e ai pomelli sporgenti gli saliva la porpora malaticcia dell’eccitazione, Andrea provava la tortura della gelosia. Alberto Sanna si entusiasmava per la delicata bellezza di sua moglie, per la dolcezza dei suoi baci, e andava avanti, avanti; il suo compagno si faceva pallido, mordeva il suo sigaro, e non sapeva come resistere alla voglia di buttare Alberto in un fosso. Questo ammalato, che respirava affannando alla pianura, e alla salita il respiro gli sfuggiva come un fischio, questo gretto omuncolo parlava delle gioie dell’amore con una enfasi, come se fosse capace di intenderle. Andrea lo squadrava e lo trovava un burattino