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abbassava, il racconto diventava lento, ed egli non osava destarla. Caterina si addormentava un momento, poi ricominciava, a frasi spezzate. Finiva per dire addormentata:

— Povera Lucia!

— Povera Lucia! — ripeteva Andrea macchinalmente.

Caterina posava, addormentata, ma egli restava sveglio, con là febbre addosso messagli da quel racconto, resisteva alla voglia di svegliare sua moglie, per dirle:

— Parlami ancora di lei.

Poi, quel metodo, lo aveva insensibilmente preso anche con Alberto. Quando se lo portava a passeggiare, abilmente gli metteva il discorso sulla moglie. Detto fatto: Alberto non voleva udire altro. Come per Caterina, Lucia era la sua idea fissa, il suo soggetto favorito. Ne aveva tante da contare che Andrea non sentiva bisogno d’interrogarlo più: lo interrompeva con qualche interiezione, per dimostrare che ascoltava e che si interessava. Alberto ne aveva da dire per un secolo, come egli si era innamorato, come parlava Lucia, che gli scriveva, come vestiva da fanciulla. Si ricordava specialmente di certe frasi, il carro di Jaggernaut, il dramma della vita, l’amore di testa, il silenzio del cuore — e le ripeteva, pastosamente, come assaporandole. Gli ripeteva certi particolari minimi, una data, il fiore ch’ella portava nei capelli quel giorno, i guanti che le salivano fino al gomito, la sottana di seta che faceva un certo fruscìo, ondeggiando sotto la pelliccia. Alberto non dimenticava nulla: un giorno