Pagina:Serao - Fantasia, Torino, Casanova, 1892.djvu/287


parte quarta 279

— Tu non devi uscire?

— Sì, hai ragione: vado. Se cercano di me, dirai che sono uscito per affari. Nel salotto non si respira. Vi è un tanfo di malattia.

— Presto se ne andranno, e...

— Non dico questo. Mi dirai il resto questa sera. A rivederci.

E per colmo di disperazione, in certe sere Lucia si faceva bellissima, lo guardava fisamente, con ostinazione, con una provocazione calma e persistente che lo torturava. Si torturava, egli che non conosceva l’arte delle lunghe aspettazioni, nè aveva la flemma che vince gli ostacoli. Egli aveva la fretta di coloro che vivono presto e bene, che non hanno la fede nel futuro, che vogliono la vita pronta, facile, non come un ideale da raggiungere, ma come una realtà da godere giorno per giorno. Che cosa era questo avere sempre presente Lucia, a due passi, bella, desiderabile, desiderata, e non poterla avere? Egli non era dômo, lottava, stringendo le pugna che avrebbero voluto abbattere qualche cosa — poi, ricadeva, spossato, vinto dall’esaurimento, senza voglia più di vivere, avendo questo ritornello nel pensiero: che tutto sarebbe stato sempre così, che non vi era rimedio, e che valeva meglio morire.

Di notte, era impossibile passare un’ora sul balcone. Appena sentiva scricchiolare un po’ il letto, Caterina si svegliava e domandava:

— Vuoi qualche cosa?

— No — diceva lui, duro, rabbioso. Qualche volta