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parte quarta | 277 |
ergevano più grandi, più insistenti gli ostacoli. Quel tisicuzzo di Alberto non abbandonava mai sua moglie, dormicchiando, sbadigliando, leggicchiando, rosicchiando pastine di catrame, sputando nel fazzoletto, lagnandosi, tastandosi il polso cento volte al giorno, lamentandosi di certi avvampamenti e di certi sudori freddi. Caterina, è vero, andava e veniva per gli ordini, per qualche faccenda da dirigere, per qualche lettera da scrivere; ma poiché il suo marito restava in casa, essa faceva di tutto per sbrigarsi presto e per venire in salotto a cucire. Alberto guardava e vedeva tutto, voleva toccar tutto, aveva certe curiosità puerili di uomo ammalato e disoccupato. Caterina era meno curiosa, più discreta, restando in silenzio, ma ascoltando e vedendo tutto. Impossibile di parlare un minuto da solo a solo con Lucia.
Due o tre volte avevano tentato questo, quasi dimenticando gli altri due; ma, rientrando in se stessi, li avevano trovati muti, pallidi di noia, la faccia stirata dallo sbadiglio compresso. Caterina e Alberto non avevano nulla da dirsi. Dopo cinque minuti tacquero. Alberto considerava Caterina come una eccellente donna, ottima massaia, ma un po’ stupida, inferiore a sua moglie di molto. Caterina non faceva giudizi, ma aveva per Alberto una compassione quieta e senza emozione: non altro. Non vi era comunicazione di spirito fra loro e vi era repulsione fisica. Ad Alberto, Caterina produceva quella impressione negativa che fa l’assenza del sesso; non gli sembrava nè brutta nè bella, non gli sembrava donna. In Caterina parlava l’istinto della