Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
276 | fantasia |
deva lucidamente il fatto del tradimento, ma senza fronzoli sentimentali. Non aveva terrori mistici, nè languidezze di coscienza errante, nè ravvolgimenti di anime depravate. Egli faceva il male, non per fatalità, non per castigo di Dio, non per influenza di fantasia, ma perchè amava. Egli non si giustificava, cercando in Caterina qualche difetto immaginario, delle mancanze, dei torti, per cui egli fosse scusabile di amare altrove: egli non diceva a se stesso che Alberto meritava di non essere amato, che era un marito assurdo per una donna come Lucia. La sua coscienza si ribellava a questi pretesti dei cuori vili, che cercano attenuanti all’amore. Loro due facevano il male, tradivano, perchè amavano altrove. Ecco tutto. Non è una fatalità l’amore: è l’amore stesso, più forte di ogni altra cosa. Così soffriva perchè non poteva amare liberamente, nel pieno sole, con la lealtà di un cuore equo che ha il coraggio dei propri errori. Egli non capiva gli ostacoli, lo irritavano fisicamente, come un carro che gli attraversasse la via. Avrebbe voluto scostarli con una spallata o scavalcarli, si lagnava con sé, per questa ingiustizia che gli veniva fatta dalla sorte, di non poterli sormontare. Talvolta, quando erano tutti riuniti nel salone, gli veniva la voglia di prendere Lucia nelle braccia e di portarsela via. Era il suo diritto quello, diritto cieco, diritto di violenza, ma che conveniva al suo temperamento. Lo capiva lei? Quando le si faceva troppo dappresso, ella aveva un piccolo moto di repulsione.
Ma come in lui la passione ribolliva, così fuori si