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parte quarta 273

che Moltke non rassomigliava a Crispi e che tutti i Prussiani si rassomigliavano fra loro.

Andrea dava le volte pel salone, venendo ogni tanto al pianoforte, dicendo qualche parola a Caterina, per farle mutare il pezzo o farle allargare il tempo. Ma era perseguitato dalle labbra di Lucia che vedeva dovunque, un fiore di melograno aperto, una vivezza di corallo boccheggiante: innanzi a sè, le vedeva ondeggiare, fluttuare, le seguiva, le raggiungeva, scomparivano. Libero per un istante: poi dallo specchio, da un candelabro di bronzo, da una giardiniera di legno, le vedeva trasparire, prima pallide, poi rosse, poi di carminio, come se pigliassero vita. Non poterle raggiungere mai! Uscì sul balcone, espose all’aria la sua testa infuocata, sperando che l’umidità della sera calmasse quel delirio.

Caterina pregò Lucia di suonare, ella non volle, non ne aveva la forza, disse che si sentiva estenuata. Alberto sonnecchiava. Le due amiche parlarono sottovoce, a lungo, fra loro, curvandosi sui tasti bianchi e neri, mentre dal balcone Andrea le guardava: ora le labbra di Lucia gli facevano l’orribile scherzo di accostarsi alla guancia di Caterina. Oh se Caterina si muovesse dal pianoforte! Ma niente, vi rimaneva, confitta, ascoltando quello che le mormorava Lucia.

Così le ore passarono, lente, lunghe, non mutando nulla in quel salone. Egli sentì calmarsi quell’acuzie di desiderio, in una desolazione crescente. A mezzanotte si salutarono, Andrea spossato, vacillante sulle ginocchia; ella trascinantesi a stento. Scambiarono un