Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
266 | fantasia |
erano insormontabili. Mai, mai più, avrebbe potuto parlare a Lucia. Era finita. Non aveva la forza nè di uscire nè di restare in quella stanza chiusa.
— Me ne vado a dormire — disse, alzandosi come se compiesse un atto di coraggio.
— Che cosa stai ricamando oggi, Lucia? — chiese Alberto.
— Un cuore trafitto da una spada.
In camera sua Andrea chiuse le imposte e si buttò sul letto, preso da una stanchezza mortale, come mai non aveva sentito. Nella lotta con le cose era stato atterrato. La sua natura impetuosa, senza transazioni, non sapeva le lunghe perseveranze: egli non sapeva nè attendere nè calcolare. — Mai più, mai più — diceva fra sé, col viso sepellito nei cuscini.
Due volte venne Caterina in punta di piedi, si chinò su di lui, trattenendo il respiro per sentire se dormisse. Egli finse di dormire, reprimendo un moto di fastidio. Ora, non era libero neppure di chiudersi in una stanza e di sfogarsi, dando delle pugna nelle materasse? Ora doveva sopportare tutte queste premure, tutte queste noie? Ma Lucia ritornò nel suo pensiero, dominante, imperante; Lucia, di cui mormorava il nome, che lo empiva di dolcezza; Lucia, l’amore caro, l’amore grande, l’amore immenso, come il mare, come il sole. Si voltava e si rivoltava nel letto, smaniava nervoso, egli che non aveva mai avuto fastidio dai nervi, parendogli di essere da un secolo lì, arroventandosi su quella biancheria fresca di bucato. Si addormentò due o tre volte, leggermente, supino, e, sognando come gli pa-