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262 fantasia


— Che dice il giornale, Lucia?

— Nulla.

— Al solito: non vi è mai niente. Tu ti diverti a leggere?

— Immensamente — e la voce fischiò fra i denti.

— Perchè non chiacchieri con noi? Ci è qui Andrea, che non è uscito: la prima volta che resta in casa di mattina, tu t’immergi nel Pungolo.

— Io ho dimenticato in camera la scatola con le tue pastiglie — disse lei, pensierosa.

— Eccola qua — rispose Alberto, e la cavò di tasca.

L’espediente volgare, ma quasi sempre efficace, non era riuscito. I due amanti rimasero taciturni, abbattuti, come sconfitti. In questo entrò Caterina con la cartella.

— Ho tardato — disse — ma non la trovavo più. Era nel fondo del cassetto, sotto la carta bollata. È tanto tempo che tu non scrivi.

Dopo avere apparecchiato tranquillamente l’occorrente per scrivere a suo marito, si accostò a Lucia e le sedette accanto. Andrea, rabbioso di quella doppia sorveglianza, cominciò a scrivere frasi senza senso, rapidamente. Scriveva dei nomi, dei verbi, degli avverbi lunghissimi, a caso, per scrivere qualche cosa, sentendo che non poteva pensare ad altro salvo che a dire alla sua cara Lucia, il suo amore bello, che le voleva bene. Sogguardò verso i tre. Lucia, la testa arrovesciata, la faccia livida dal dispetto, le labbra secche, come tirate da un filo interno, lo guardava fra le palpebre socchiuse dietro il giornale. Egli si sarebbe alzato, sarebbe corso da lei, a dirle che l’amava: ma Alberto e Caterina se