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260 | fantasia |
tardare Lucia, l’amante suo non avrebbe sfondato le porte, non avrebbe infranto i mobili e le porcellane, per assopire la propria collera...
Caterina rientrò.
— Ha detto l’avvocato Marini che l’intendente ci è dalle nove alle dodici, in ufficio, oggi.
— Sicchè?
— Tu hai il tempo di andarci prima di colazione. In un’ora vai e ritorni.
— No, non vado — disse Andrea, dopo avere esitato.
Caterina tacque: non gli faceva mai osservazioni. Le pareva che egli avesse sempre ragione.
— Andrò dopo colazione — soggiunse egli, quasi spiegasse la sua condotta.
— Come vuoi — disse Caterina, senza fargli osservare che, dopo colazione, l’intendente non lo avrebbe trovato.
Andrea s’irritava di nuovo: Caterina lì, ritta innanzi a lui, gli dava fastidio. Pareva che aspettasse qualche cosa, che volesse domandargli, chiedergli conto...
— Senti, Caterina, va in camera e portami la mia cartella: scriverò qui certe lettere molto interessanti.
Ella se ne andò di nuovo, col suo passo ritmico che sfiorava la terra. La porta di Lucia si aprì ed ella entrò: Andrea le corse incontro, pallido dal piacere di rivederla. Ma si arrestò disilluso. Dietro veniva Alberto. Andrea salutò, freddamente, vedendo svanire tutto il suo bel progetto di contemplarsela lungamente.
— Non sei uscito stamane? — domandò scioccamente Alberto.