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parte quarta | 253 |
tutto di fantasia, tutto di creazione, che sicuramente avrebbe superati quelli di tutti gli scrittori italiani. Lucia ci lavorava dopo la mezzanotte: lui, Alberto, se ne andava a letto: Lucia disponeva la lampada in modo che non gli ferisse gli occhi — la cara anima era piena di queste attenzioni delicate — apriva la sua scrivania, tirava fuori il suo quaderno e si prendeva la testa fra le mani, meditando prima di scrivere. Poi si curvava a scrivere lungamente, senza fermarsi mai. Talvolta, sotto l’impeto della ispirazione, ella si alzava, passeggiando, agitata, contorcendosi le mani.
— Pare un poeta che improvvisi — soggiungeva Alberto — e a cui manchi la rima. Mi fa pena qualche volta. La chiamo, si scuote, par che cada dalle nuvole. Capite, stava componendo. Non intende quello che io le dico: ma risponde come trasognata. Ora non la chiamo più in quei momenti, perchè capisco che disturbo il suo ingegno. Ma più spesso mi addormento, e Lucia, credo, non viene a letto che alle due, alle tre. Io, il romanzo non l’ho letto e non le chieggo di leggerlo. Dicono che gli scrittori non amino far vedere i loro lavori prima che siano finiti. Quando lo avrà terminato, lo leggerò. Credo che me lo dedicherà. Sarà un’opera da stordire.
Anche Andrea si mostrava lieto della chiusura dell’Esposizione: aveva trascurati molti suoi affari, pel comodo degli altri. Ci aveva un mondo assai di cose da fare, diceva lui, che quella dannata mostra gli aveva ritardato. Finalmente ricuperava la pace della sua casa e non doveva passare tutto il giorno in quel maestoso