Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
250 | fantasia |
— Come, stai ogni anno quattro mesi a Centurano e non hai visto mai il giardino inglese?
— Non vi è mai stata occasione. Non vado quasi mai nel parco. Vi condurrò te e lo vedremo insieme.
— Io non ho alcun desiderio di vederlo. Io odio i giardini inglesi.
Non se ne parlò più. Restava in casa volentieri Lucia, ma si occupava lungamente a vestirsi, mutando sempre. La sua camera era piena di casse e di bauli: aveva scritto a Napoli e le era venuta altra roba di mezza stagione, uscita fresca fresca dalle mani della sarta. Aveva ogni specie di vesti da camera, da quelle bianche, larghe e fluttuanti, che danno un’aria così casta alla persona, a quelle corte, sboffanti, come le dame Pompadour, vesti civettuole: da quelle tutte merletti, vaporose, lievi, volanti a un soffio, a quelle di stoffa aprentisi sopra un davanti di raso, a piegoline. Le stavano bene tutte, perchè una donna snella sempre sta bene. Ella, quando Caterina la trovava bella e glielo diceva, sorridendo placidamente, quando Andrea le faceva un inchino cerimonioso, rispondeva sempre:
— È per Alberto che mi vesto, non per me.
— Naturalmente — diceva sottovoce, a parte, Alberto a Caterina, ad Andrea — questa povera Lucia si sacrifica troppo per me. Almeno abbia la soddisfazione di essere bella per me.
Dopo l’acconciatura, Lucia andava a colazione, indi riprendeva il suo posto favorito, nel salotto di Caterina. Ella aveva cominciato un lunghissimo lavoro, tutto di fantasia: sul canavaccio grosso e rude, senza